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presentazione

Atti del Convegno del 18 novembre 2006

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I partecipanti

Relazioni Introduttive

“Educazione e sviluppo della mente”
(testo di Q. Borghi)

"Il progetto e la ricerca"
(testo di A. Rabbone)

Relazioni delle scuole

“'Un computer per imparare le cose': approccio adulto e approccio bambino”
(testo della SMM Cso Croce
diapositive Power Point)

“Come abbiamo imparato a creare con MicroMondi Jr”
(diapositive Power Point della DD Chivasso II)

“Dalla programmazione al progetto. Scopro gioco e creo con la tartaruga”
(testo della SMM Via Moretta
diapositive Power Point)

"La genesi di un progetto: 'La navicella spaziale'"
(testo della DD Alba I
diapositive Powe Point)

“Laboratorio chiama laboratorio. Trasversalità e continuità con le TIC”
(testo della DD Pacchiotti Torino)

“Quale multimedialità? Computer come e dove”
(testo della DD S.Mauro)

disegno

Il progetto e la ricerca

Mi occupo di bambini e tecnologie da ormai più di vent’anni, e da vent’anni continuo ad avere a che fare con il Logo e con le sue varie versioni che si sono succedute nel tempo.
Il Logo, come saprete, è un linguaggio di programmazione ormai piuttosto vecchio, non tanto efficace, dicono gli esperti, da un punto di vista informatico vero e proprio. Eppure, in tutto questo tempo, non ho ancora trovato per i più piccoli un ambiente operativo così adatto a rendere il computer uno spazio aperto per pensare e per riflettere. Forse perché il Logo, fin dalla nascita, è stato concepito per la didattica e l’apprendimento ed ha portato con sé una precisa e chiara filosofia dell’educazione.

Provo a partire da alcuni presupposti.
Sono convinto che esistano nella nostra cultura alcuni “nodi concettuali di base” che si situano in un’area d’intersezione che tocca la logica e la matematica da una parte e la programmazione dei computer (o l”informatica”) dall’altra. Si tratta, tanto per fare qualche esempio, dei concetti di istruzione, di sequenza, di proporzione, di condizione (“se… allora…”), di ciclo e modularità, di casualità e probabilità…
Sono elementi “di base” in quanto certamente costituiscono le fondamenta cognitive per ogni ulteriore sviluppo dell’apprendimento in molte aree disciplinari.
Sono anche convinto che tali nodi concettuali possano essere affrontati con successo anche da bambini molto piccoli, come i bambini della scuola dell’infanzia, anche se, naturalmente, in modo non formalizzato. 
Alla fine della scuola elementare, comunque, il pieno possesso di questi dovrebbe essere patrimonio di tutti. In altre parole la scuola, in un’ottica di educazione alla cittadinanza, dovrebbe garantire a ciascuno la possibilità di affrontare e risolvere in un contesto appropriato e secondo i personali ritmi di apprendimento tali nodi. Un ambiente Logo rappresenta, appunto, un possibile “contesto appropriato”.
Il senso di introdurre delle attività Logo a scuola non è allora quello di fare imparare elementi specifici della programmazione legati alle attuali tecnologie, ma di creare le condizioni per la costruzione personale di strategie di apprendimento e di soluzione dei problemi. Non un’utilità cognitiva immediatamente spendibile dunque, quanto piuttosto un investimento a lungo termine sulla mente.

Il mondo della scuola e quello della formazione degli insegnanti tuttavia non sembra sempre orientato in tale direzione. Attualmente sembra infatti predominare una rincorsa affannosa agli sviluppi tecnologici in quanto tali (piattaforme di e-learning, strumenti per il pod-casting…) sulla seria presa in considerazione degli aspetti cognitivi e di conseguenza didattici che stanno dietro, o meglio “davanti”, alle tecnologie.
Se si parla di bambini e computer il più delle volte il tema principale trattato è quello della “sicurezza” in Internet (ma quanto mai serve ad un bambino di scuola dell’Infanzia la navigazione su Internet?)  o quello dell’alfabetizzazione intesa come addestramento precoce all’utilizzo dei vari pacchetti Office.  Fanno fede in questo senso libri di testo per le elementari che ad esempio propongono l’uso di Excel in seconda (si veda una delle relazioni che seguono)…

Questa sperimentazione rappresenta un tentativo, modesto ma determinato, di andare oltre la didattica delle “istruzioni per l’uso” e di tornare allo studio della dimensione cognitiva.
Si è tentato soprattutto di rispondere a due domande chiave:

  1. Se e come i bambini che non sanno ancora leggere e scrivere possono apprendere a programmare i computer.
  2. Qual è l’ambiente migliore in cui tale apprendimento può verificarsi.

Posso, a questo punto, a sperimentazione appena terminata, dare alcune risposte molto parziali, quelle almeno che a me sono sembrate delle risposte.
Direi che senz’altro l’utilizzo di un ambiente Logo adatto è possibile con bambini che ancora non padroneggiano la scrittura e non conoscono i numeri. Che anzi questo si rivela un potente elemento di crescita e sviluppo cognitivo, ma a condizione che si tenga conto di alcuni aspetti.
Innanzitutto esiste una notevole differenza tra il modo in cui gli adulti apprendono e quello in cui i bambini apprendono (una delle relazioni che seguirà svilupperà questo aspetto). Personalmente me ne sono accorto nel momento in cui, all’inizio di questa sperimentazione, mi sono messo all’opera per preparare il corso propedeutico (online) per le insegnanti che sarebbero poi diventate le referenti delle varie scuole. Per gli adulti avevo poco tempo a disposizione (due mesi) e soprattutto la necessità di una presentazione che coprisse tutte (o quasi tutte) le funzioni del programma MicroMondi Jr. La scelta è allora ricaduta su una sorta di tutorial, che presentasse i contenuti in modo rigorosamente sequenziale e che richiedesse un certo numero di esercitazioni al corsista per dar modo di verificare le competenze acquisite.
Certamente lo stesso percorso “tradizionale” del corso, seguito per le insegnanti, non avrebbe avuto alcun senso se applicato ai bambini (e su questo punto ho molto insistito nell’ambito del corso stesso). E ciò per un motivo molto importante: con le insegnanti lo scopo dell’attività di apprendimento veniva dato per acquisito (si impara a conoscere l’ambiente di MMJr per conoscerlo a fondo e per sapere poi rispondere alle domande che i bambini ci porranno) mentre le cose sarebbero cambiate radicalmente con i bambini.  Con i bambini il “senso” di ciò che si fa, il perché “si deve” imparare qualcosa, non va mai dato per scontato.
Il metodo della “libera esplorazione” e soprattutto l’attività fondata sulla realizzazione di progetti personali ideati dai bambini stessi avrebbero certamente dato frutti migliori, pur richiedendo tempi più distesi.
Altro importante elemento di cui occorre tenere conto, se si vogliono ottenere risultati positivi, è che esiste una dimensione emotiva nell’apprendimento. E usando il termine “emotiva” non intendo riferirmi ad aspetti affettivi o relazionali; intendo piuttosto indicare una componente presente in tutti gli utenti dei computer, bambini ed adulti; una componente che ha a che fare con la paura di sbagliare, l’ansia o quanto meno l’incertezza, il bisogno di “sicurezza cognitiva” (il filmato del bambino che “prima rimette le cose a posto” rappresenta almeno parzialmente ciò che intendo).
Nel corso della sperimentazione, prestare attenzione agli aspetti cognitivi degli alunni ha anche significato registrare che una serie di problematiche operative emergeva con una certa regolarità in situazioni, tempi e contesti differenti. In altre parole sono state individuate alcune sequenzialità "tipiche" e ricorrenti nel percorso di apprendimento. Per fare un solo esempio, la difficoltà a comprendere che nei cicli di istruzioni che visualizzano un "sole che pulsa", o genericamente, un qualsiasi oggetto che cambia forma ciclicamente, le istruzioni di attesa vanno inserite dopo "ogni" comando e non una sola volta… (si vedano i filmati sul “sole che pulsa”).

Il problema squisitamente didattico che si pone all’insegnante di fronte a tali problematiche operative (e cognitive) ricorrenti è il modo in cui affrontarle.
Non certo con la logica dell’”alfabetizzazione”, a parer mio.
Infatti il presupposto didattico dell’alfabetizzazione (quella informatica, non quella linguistica) è quello per cui si crea un elenco ordinato dei problemi o degli obiettivi da raggiungere e poi li si affronta uno per uno, in modo sequenziale e uguale per tutti. Prima si impara ad accendere il computer, poi si impara ad usare il sistema operativo, poi si impara a scrivere con un elaboratore di testi e così via…

A mio avviso invece (e secondo una logica davvero costruttivista) occorrono strategie didattiche diverse.
Innanzitutto occorre attendere che il problema cognitivo emerga secondo i tempi individuali. Diversamente l’alunno imparerà forse una sequenza di passi operativi da applicare in alcune situazioni, ma difficilmente ne comprenderà il senso e quasi sicuramente non saprà servirsi di quanto “appreso” in nuovi contesti problematici.
In secondo luogo bisogna fare leva sulle motivazioni personali a risolvere un problema operativo - cognitivo. Ciò significa allora stimolare l’intenzionalità progettuale dei bambini mediante la creazione di ambienti cognitivi adeguati. E con l’espressione “ambiente cognitivo” non intendo riferirmi, ovviamente, solo al Logo o a MicroMondi Junior scelto come standard per la sperimentazione; nemmeno a strumenti digitali come la lavagna interattiva che abbiamo ampiamente utilizzato nei momenti di confronto collettivo. Con "ambiente cognitivo" intendo riferirmi ad un complesso di elementi che comprende, oltre gli strumenti hardware e software, anche una serie di regole e comportamenti didattici da parte degli adulti. Anzi, intendo riferirmi soprattutto a questi.
Ciò che è sembrato essenziale sin dai primi approcci è stata la definizione di un modus operandi da parte dell'adulto. Evitare interventi direttivi; favorire la libera esplorazione degli ambienti e la libera espressione delle proprie idee e dei propri progetti; essere presenti non per controllare, ma per aiutare; essere in grado di osservare sul campo i comportamenti cognitivi dei bambini, di registrarli e di documentarli per trarne delle nuove indicazioni se non proprio delle conclusioni.

Molto ci sarebbe ancora da aggiungere…

Alessandro Rabbone
venerdì 17 novembre 2006

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