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presentazione

Atti del Convegno del 18 novembre 2006

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I partecipanti

Relazioni Introduttive

“Educazione e sviluppo della mente”
(testo di Q. Borghi)

"Il progetto e la ricerca"
(testo di A. Rabbone)

Relazioni delle scuole

“'Un computer per imparare le cose': approccio adulto e approccio bambino”
(testo della SMM Cso Croce
diapositive Power Point)

“Come abbiamo imparato a creare con MicroMondi Jr”
(diapositive Power Point della DD Chivasso II)

“Dalla programmazione al progetto. Scopro gioco e creo con la tartaruga”
(testo della SMM Via Moretta
diapositive Power Point)

"La genesi di un progetto: 'La navicella spaziale'"
(testo della DD Alba I
diapositive Powe Point)

“Laboratorio chiama laboratorio. Trasversalità e continuità con le TIC”
(testo della DD Pacchiotti Torino)

“Quale multimedialità? Computer come e dove”
(testo della DD S.Mauro)

disegno

La scuola dell’infanzia e lo sviluppo della mente

E’ senza dubbio significativo che gli organizzatori del convegno di oggi abbiamo voluto, in occasione della presentazione di alcune prime esperienze di programmazione con il computer nella scuola dell’infanzia, dare all’evento un titolo che non deve passare inosservato: il centro della scena è occupato dal bambino e non dal computer, l’accento è posto sulle idee e sulle capacità progettuali e non sulla tecnologia e sull’impiego delle macchine.
Ed è su questa linea che gli stessi organizzatori mi hanno proposto di sviluppare un tema non certo facile: “Educazione e sviluppo della mente”.

A prima vista una simile affermazione può apparire scontata: che cosa fa la scuola dell’infanzia se non occuparsi – anche – dello sviluppo della mente del bambino? Non è questo, anzi, il compito principale della scuola dell’infanzia? A domande come questa non possiamo che rispondere positivamente. Ugualmente, una risposta positiva ci lascia insoddisfatti. Per due motivi: in primo luogo perché dobbiamo dirci, anche sommariamente, che cosa intendiamo con la parola ‘mente’ ed in secondo luogo perché il metodo assume qui una rilevanza sostanziale. Probabilmente è vero che la scuola dell’infanzia in generale tende a sviluppare la mente del bambino ma il problema cruciale è ‘come’ lo fa se vuole che la sua azione sia adeguata ed efficace.
Provo perciò di affrontare questo tema toccando tre aspetti: il primo riguarda la nota questione delle intelligenze multiple, la seconda richiama gli ‘stili’ di apprendimento della mente, la terza rimanda agli obiettivi di fondo dell’educazione e della formazione nella scuola dell’infanzia. Affronteremo brevemente e separatamente ognuno di questi tre punti.

Prima questione:
le intelligenze multiple

Il problema

Abbiamo già affrontato questo problema in una recente newsletter delle scuole dell’infanzia della città di Torino (1) e ci limitiamo qui a richiamare alcuni passaggi essenziali.
Molti insegnanti interessati alla lezione di Gardner (2), hanno messo a frutto i suoi insegnamenti cercando non solo di vedere ma anche di promuovere e favorire la pluralità delle intelligenze a scuola, diversificando contenuti e metodi didattici, prestando attenzione alle differenze ed alle esigenze individuali, puntando su una o più intelligenze per far leva sulle altre.

Le domande

Le domande sopra proposte assumono un significato concreto: è valido programmare e sviluppare le attività educative e didattiche sulla base della teoria della pluralità delle intelligenze? È corretto osservare e valutare sulla loro falsariga? In altri termini: la teoria delle formae mentis può avere sviluppi pedagogici? Quali? Inoltre, una teoria psicologica può essere applicata in situazione didattica?
Gardner stesso ci propone tre linee di azione che qui riproponiamo (riportiamo qui di seguito le considerazioni già proposte nella newsletter citata) (3).

  1. "Le scuole dovrebbero coltivare le abilità e le capacità che sono considerate preziose in una determinata comunità e nella società più ampia" (4). La scuola continua cioè ad essere quello che da sempre dovrebbe essere, dovrebbe cioè offrire e garantire gli strumenti (o medium specifici) di una cultura. Dovrebbe cioè perseguire e favorire quelle capacità che sono considerate importanti per una cultura.
  2. La teoria delle intelligenze multiple sottolinea l'importanza nell'insegnamento di accostarsi ad un argomento o ad una disciplina in modi differenti e non in modalità univoche. I problemi possono essere affrontati in vari modi e da diversi punti di vista: in questa maniera ad ogni allievo è consentita la possibilità di scegliere la strada che gli è più congeniale e che gli risulta più agevole. Inoltre, è importante per un allievo sapere che uno stesso problema può essere affrontato da più punti di vista e può essere indagato sotto una molteplicità di aspetti. La teoria delle intelligenze multiple privilegia, in altre parole, il pluralismo metodologico e delle opportunità di approccio.

L'istruzione dovrebbe essere individualizzata. Il compito principale dell'insegnante nelle situazioni - anche - didattiche è quello di tenere conto delle differenze individuali e di far leva su di esse, tenendo conto che le intelligenze non sono tutte uguali ed ognuno non possiede le stesse intelligenze e nello stesso modo.

Seconda Questione:
la mente computazionale e la mente culturalista

Il problema

Jerome Bruner in un suo libro dedicato all’educazione (5) fa una considerazione importante. Afferma che gli studi sulla mente si sono sviluppati su due direzioni. Alcuni studiosi hanno riconosciuto nel comportamento della mente qualcosa che in qualche modo assomiglia al funzionamento del computer. Si tratta di un’idea che prende spunto dai progressi delle scienze computazionali avanzate. Altri studiosi invece sostengono invece che la mente si muove di pari passo con la cultura e si realizza in essa. La mente infatti non potrebbe esistere senza la cultura.
Si tratta di due posizioni antitetiche, ma a ben vedere l’una non esclude l’altra ed entrambe spiegano qualcosa del comportamento e del funzionamento della mente.
Il compito del computer è sostanzialmente quello di occuparsi dell’elaborazione delle informazioni: in pratica le registra, le immagazzina, le codifica, le classifica, le confronta, le richiama, ecc. Per queste ragioni la tecnologia informatica ha preso il nome, a volte, di ‘macchine pensanti’ o anche di ‘intelligenza artificiale’. Anche la mente ricorda, cataloga, classifica, mette in ordine, e così via. In questa prospettiva il computer si rivela un interessante alleato che aiuta la mente elaborando e sviluppando in modo assai più veloce le informazioni. Non sostituisce la mente ma la aiuta compiendo con maggiore rapidità un lavoro che la mente umana impiegherebbe molto più tempo a compiere. Nel pregio dell’intelligenza artificiale troviamo tuttavia anche il suo limite. I computer sono più veloci, più ordinati, meno discontinui. Ma ordinano quello che hanno già, non fanno nulla di nuovo.
La seconda posizione fa invece riferimento alla cultura nel senso che lo sviluppo della mente è direttamente rapportabile allo sviluppo dei sistemi simbolico culturali della comunità di cui il singolo individuo è membro. La cultura, in altre parole modella gli individui. La mente ha il compito essenziale di attribuire significato alle cose che stanno intorno, agli eventi che accadono, alle situazioni che si presentano. La cultura non è perciò solamente una creazione dell’uomo ma plasma l’attività della mente, rende possibile lo stesso pensiero (6).

Le domande

Quale direzione di lavoro deve prendere la scuola? Quale posizione deve privilegiare?
Le due posizioni non potrebbero essere più antitetiche e nello stesso tempo siamo in grado di percepire che sono entrambe vere nel senso che entrambe descrivono qualcosa che ha a che fare con il comportamento ed il funzionamento della mente umana. Occorrerebbe qui un lungo discorso che non ci è possibile sviluppare. Possiamo perciò limitarci a prendere atto che – in modo simile alla compresenza ed all’interazione dei due lobi cerebrali – la mente possiede due modalità contemporanee di funzionamento.
Affrontiamo la questione con un esempio. Immaginiamo di doverci recare in un determinato luogo e controllando la carta topografica constatiamo che basta imboccare la terza strada a sinistra. Risolviamo facilmente questo compito perché consultare una mappa e sappiamo contare almeno fino a tre. Se poi la terza strada a sinistra fosse a senso unico per la direzione opposta sapremmo orientarci imboccando la quarta strada a sinistra e poi tornare indietro facendo il giro di un alcuni isolati. Le azioni della nostra mente sono in questo caso più che chiare: ci siamo limitati ad applicare ad una situazione concreta informazioni e strumenti mentali che abbiamo acquisito in altre circostanze. Tutto questo non dice tuttavia nulla sulle razioni per le quali abbiamo deciso di imboccare la terza strada a sinistra. Potrebbe trattarsi ad esempio di un appuntamento importante, di una persona cara che ci aspetta, oppure per un lutto che ci ha profondamente lacerato. E forse, proprio per le intense emozioni distrattamente sbagliamo strada oppure non riusciamo ad individuare cubito il numero civico.
C’è insomma una intelligenza (un certo funzionamento della mente) che è indifferente alle ragioni sociali ed emotive per le quali compiamo una certa scelta e decidiamo di attuare una certa sequenza di azioni. Due più due fa sempre quattro e poco importa se siamo innamorati oppure siamo tristi.
In altri termini la mente è in grado di funzionare in modo ‘formale’ compiendo operazioni logiche, seriando, classificando, discriminando, ecc. La mente tuttavia ha anche, contemporaneamente un altro tipo di funzionamento nel senso che presta costantemente attenzione allo stato al rapporto fra noi e l’ambiente (culturale) esterno. Più precisamente la mente effettua costantemente azioni di valutazione dell’ambiente esterno in rapporto ai nostri scopi. Se passando per la strada vediamo una persona che ci chiede l’elemosina possiamo essere colpiti dalla piaga della povertà. Se però dovessimo vedere che sta facendo l’elemosina una persona che conosciamo bene la cosa ci colpirebbe molto di più. Ci toccherebbe più da vicino, ci coinvolgerebbe emotivamente e ci porterebbe a pensare che cosa potremmo fare in concreto per contribuire a superare un simile problema. Potremmo provare un coinvolgimento simile ad esempio per l’apprezzamento di un’opera d’arte oppure per un ideale civile, per una scelta etica e così via. In questo secondo caso la nostra mente non applica procedure formali ma opera facendo riferimento a situazioni contestuali e/o culturali.
La mente svolge contemporaneamente queste operazioni: svolge contemporaneamente compiti formali ed affronta modelli culturali. Il problema è capire se la scuola si comporta di conseguenza.
La scuola (non ci riferiamo certamente, in questo caso, alla scuola dell’infanzia, quanto piuttosto alla secondaria superiore, anche se non mancano le eccezioni) preferisce tradizionalmente privilegiare la mente formale (computazionale) rispetto all’approccio culturalista. I curricoli scolatici sono costituiti da discipline formalizzate e la valutazione si basa spesso quasi esclusivamente sulla capacità della mente di ricordare, classificare, riordinare, ecc. Si direbbe, tende a privilegiare un cervello più dell’altro, e, conseguentemente, a premiare maggiormente le capacità formali rispetto a quelle ‘culturali’ (nel senso dell’approccio culturalista di cui si accennava più sopra). Forse è anche per questa ragione che non è sempre vero che chi ha successo a scuola ha anche successo nella vita.

Terza questione:
l’apprendimento fra competenze e valori

Il problema

Possiamo sommariamente affermare che la scuola dell’infanzia si muove contemporaneamente su due fronti: si tratta di vedere quali delle due assume un ruolo preminente oppure se si instaura fra l’una e l’altra un equilibrio. Diciamo subito che l’una non può prevalere sull’altra e nemmeno, ovviamente, che sia sufficiente svilupparne una sola.
La prima direzione di lavoro, nel concreto fare scuola degli insegnanti, riguarda le competenze, la seconda i valori; la prima si occupa dello sviluppo delle conoscenze e delle esperienze di apprendimento, la seconda riguarda l’aderenza al contesto culturale. La prima si occupa dello sviluppo, la seconda prefigura un bambino socialmente integrato, responsabile, autonomo, libero. Anche se rappresentano le due facce della stessa medaglia, affrontiamo separatamente le due questioni.
L’analisi di questa doppia identità della scuola deriva da lontano; già John Dewey ha assunto una posizione assai chiara in merito: “Io credo che … il processo educativo ha due aspetti, l’uno psicologico e l’altro sociologico, e che nessuno dei due può venire subordinato all’altro o trascurato senza che ne conseguano cattivi risultati(7).
Affrontiamo separatamente le due questioni.

Lo sviluppo.
La pedagogia è la scienza dell’educazione e l’educazione può essere definita in diversi modi. Possiamo intenderla, essenzialmente, come l’insieme delle azioni di influenza organizzata e prolungata per lo sviluppo dell’educando. La pedagogia ha la necessità di definire in modo chiaro in che cosa consiste, come deve essere organizzata tale influenza e quali sono i suoi obiettivi. Più concretamente lo scopo dell’educazione a scuola, pur senza trascurare altri aspetti,  è lo sviluppo della mente del bambino.
In altri termini, gli apprendimenti assumono nella scuola dell’infanzia un ruolo centrale. Per raggiungere questo scopo la pedagogia si avvale soprattutto della ricerca psicologica poiché è quest’ultima che si occupa della genesi e dei meccanismi dell’apprendimento. In questo senso, la pedagogia non può fare a meno della psicologia e da essa dipende: non è un caso che sia stata messa a punto una disciplina specifica, la “psicologia pedagogica” che ha come proprio scopo la comprensione scientifica dei processi pedagogici in relazione ai dati forniti dalla ricerca psicologica. A sua volta la psicologia – in specifico la psicologia dell’apprendimento – ha il compito di venire in aiuto alla scuola. Ovviamente non è indifferente l’indirizzo psicologico di cui la pedagogia si avvale per determinare l’idea di apprendimento che intende perseguire e mettere in atto. Si pensi ad esempio all’indirizzo comportamentista, oppure alla prospettiva strutturalista di Piaget o ancora all’approccio storico culturale inaugurato da Lev Vygotskij per rimanere nel campo esclusivo della psicologia classica. Le differenze sono sostanziali.
Occorre anche precisare che la pedagogia non può e non deve essere il semplice braccio operativo della psicologia.
Lo strumento principe per lo sviluppo delle competenze è la didattica che consiste nella definizione di percorsi appositamente elaborati e pensati per facilitare l’acquisizione delle diverse abilità previste. Il compito dell’insegnante consiste essenzialmente nella promozione dello sviluppo della mente attraverso l’acquisizione di apprendimenti, l’affinamento di abilità ed il possesso sicuro di padronanze. 

I valori.
Lo sviluppo della mente rappresenta solamente un aspetto dell’educazione, anche se molto importante. La pedagogia non può appoggiarsi solamente sulla psicologia, ha la responsabilità e l’obbligo di andare oltre.
Facciamo un esempio. In questi ultimi anni si è parlato molto di intelligenza emotiva, l’editoria ha sfornato molte proposte suggestive ed anche la scuola, in buona parte, si è buttata a capofitto sulla questione. Se non che, si è tralasciato, a nostro avviso, nel frattempo, di mettere a fuoco alcuni nodi critici a monte. La voglia di ben fare e di cercare soluzioni nuove ed importanti per la scuola può far dimenticare che occorre prestare una adeguata attenzione alle radici che generano l’impianto educativo praticato: ci riferiamo alla ‘fondazione culturale’ (o ipotesi teorica a monte) sulla quale si muove una pubblicistica attuale assai diffusa. Ci sembra di assistere a convinzioni diffuse che non fanno sufficientemente chiarezza fra processi e contenuti, riducendo le emozioni ad atteggiamenti e fenomeni socialmente apprezzabili, trasformandole in qualcosa di moralistico (8).
La comprensione di un concetto in sé non è necessariamente in relazione con lo sviluppo morale. Ci sono persone che conoscono perfettamente il significato della raccolta differenziata dei rifiuti e nella pratica possono continuare tranquillamente ad inserire tutto nello stesso sacchetto. Un bambino può sapere perfettamente che cos’è la cooperazione con i propri compagni ma può decidere ugualmente di non cooperare. Riconoscere un principio, averlo compreso, non significa necessariamente viverlo.

 

Le domande

Che ha a che fare con tutto questo la scuola?
Senza dubbio ha un ruolo importante.
Le competenze rappresentano certo un patrimonio personale ed una dote che si porta con sé. Tale patrimonio ha tuttavia anche bisogno di essere capitalizzato sulla base di principi (sociali, etici, religiosi, ecc.). Le competenze costituiscono la ‘cassetta degli attrezzi’, gli strumenti che gli servono per orientarsi nella cultura di appartenenza.
Le competenze, in sé, sono insufficienti se non sono accompagnate dalla curiosità intellettuale e dalla motivazione come strumento indispensabile per divenire delle persone e realizzarsi come soggetti.
Si parla, in questo senso di saperi essenziali o della vita.
I saperi essenziali riguardano la capacità di orientarsi nel mondo, di compiere delle scelte, di essere capaci di guardare al futuro, al proprio ed a quello degli altri.
I saperi essenziali si muovono all’interno di principi quali la libertà, la responsabilità, la democrazia, la solidarietà umana, l’etica, la spiritualità.
Tutto questo è compito dell’educazione nel senso più ampio del termine ed è a cura della famiglia, della scuola, della società stessa.
L’insegnante che si occupasse esclusivamente delle competenze, correrebbe il rischio di offrire ai bambini strumenti che potrebbero non essere in grado di utilizzare nella vita. L’insegnante che si limitasse a promuovere esclusivamente ‘valori’ correrebbe il rischio di essere di non offrire gli strumenti per comprenderli ed attuarli.
L’insegnante ha il difficile compito di fare tutte due le cose, di promuovere l’uno e l’altro, competenze e valori, abilità cognitive e saperi della vita.
E questa è, senza dubbio, una responsabilità grande.

 

Battista Q. Borghi

Torino, 18 novembre 2006

 

Note

  1. H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Milano, Feltrinelli, 1977.
  2. H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Edizioni Erickson, Trento, 2005, p. 29.
  3. J. Bruner, (1995)  La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 1996, pp. 15 e ss.  
  4. J. Bruner, cit., p. 17.
  5. John Dewy, Il mio credo pedagogico, La Nuova Italia, Firenze, 1976, p. 5.
  6. Questo punto di vista critico è espresso da Howard Gardner. Si veda a questo proposito: H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente.cit

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